I capelli dell’Iran

Febbraio 8, 2023 Categoria: ,

Buongiorno a tutti, il mio nome è Jasmine, Yasaman in persiano. Ho vissuto in Iran fino all’età di 23 anni e, compiuti i 23, sono venuta in Italia per studiare architettura…

È solo per un caso che i lunghi capelli neri, nerissimi, di Jasmine – studentessa iraniana in Italia – si sovrappongano a tratti alla rappresentazione cartografica dell’Iran, appesa giusto alle sue spalle, al margine estremo della cartina politica dell’Europa che campeggia dietro la cattedra, in Terza Classico.

Non si accorge, Jasmine, mentre si muove concentrata nel piccolo spazio aperto tra la cartina e la lavagna multimediale, che l’Iran è dietro di lei: ora completamente coperto dalla sua figura, ora come accarezzato, modulato, dal muoversi flessuoso dei capelli neri lungo le linee frastagliate dei suoi confini.

Non se ne accorge, forse perché quella è solo una cartina, una mappa, non è il territorio, cioè qualcosa di vivo, di vissuto: persone, storie, relazioni, lotte, testimonianze e sacrifici, anche a costo della propria vita.

Non se ne accorge perché l’Iran non è dietro, ma davanti a lei: nei suoi occhi neri e profondi, nelle sue parole. Riempie tutto lo spazio.

In Iran ho trascorso la mia adolescenza e la mia prima giovinezza e lì ho sentito l’oppressione, ho sentito la rabbia…

Lo porge agli studenti, il suo Iran, l’Iran di ieri e soprattutto di oggi, mentre tutti la ascoltano in un silenzio assoluto, concentrato, empatico, accogliendo il suo intervento con quello stupore che nasce quando ci rendiamo conto che è tutto vero, che l’incredibile, ciò che non dovrebbe mai accadere, pure accade.

È un tono misurato quello di Jasmine, quasi pacato, con una eco dolente sul fondo, ma priva di rassegnazione, mescolata anzi ad una fierezza mite, alla fermezza ostinata di chi non è disposto a sopportare l’ingiustizia.
Non alza la voce, non ne ha bisogno: bastano i fatti, raccontati con semplicità e in modo diretto, come si rivolgesse personalmente a ciascuno dei presenti. La sua è una testimonianza colma di dignità, quel tipo di dignità che deriva dalla verità e dal mettersi totalmente in gioco.

Da iraniana che vive all’estero sento la responsabilità di raccontare ciò che sta succedendo in Iran, di essere la voce delle persone che vivono lì. E quindi ringrazio la prof.ssa Bernadette Walshe, la prof.ssa Maria Teresa Beretta e tutti voi per avermi dato questa opportunità di parlarne davvero e mi sento un po’ più utile, mi sento come se stessi lottando anche io in qualche modo, visto che non posso essere al fianco dei miei concittadini in Iran.

I fatti sono quelli che leggiamo sui giornali, a volte distrattamente, fatti gravissimi di cui abbiamo raccolto, quando va bene, solo una piccola eco. Fatti “ai margini”, proprio come l’Iran raffigurato sulla cartina dell’Europa. Fatti specifici che tutt’al più ci limitiamo a sussumere e a catalogare sotto la categoria generica di “restrizione delle libertà personali” dell’Iran post 1979, data della rivoluzione khomeinista. Fatti spesso letti e archiviati dentro di noi attraverso precomprensioni sbagliate o banalizzanti, se non con quel vago fatalismo che mettiamo in campo quando le tragedie – evitabili invece – capitano agli altri.

In Iran, per le donne è proibito andare in strada con parti del corpo scoperte, assistere a partite di calcio, andare in bicicletta – perché in questo modo si potrebbero mostrare accidentalmente parti del corpo –, e, salvo casi estremi, chiedere il divorzio. Il matrimonio è legale dai 9 anni di età. In Iran inoltre è proibito essere omosessuali, considerato questo un reato che prevede la pena capitale.
L’Iran ha protestato in questi ultimi anni contro questa situazione. Abbiamo avuto grandi proteste nel 2009, nel 2017, nel 2019, con migliaia di manifestanti uccisi, ma niente è cambiato. Fino al 13 settembre scorso, quando Mahsa Amini è stata arrestata e picchiata sino alla morte. Mahsa era venuta a Teheran da Saqqez: stava viaggiando, era in vacanza e voleva visitare la capitale. Si stava coprendo i capelli, ed è stata vista dalla Polizia Morale, che l’ha arrestata con violenza. Un poliziotto ha sbattuto con forza la sua testa contro la parte metallica del furgone e ci sono dei video di lei che si arrende, e subito dopo sviene. Quello che è successo è che lei è stata ferita alla testa e tre giorni dopo, il 16 settembre, è morta. Solo perché non indossava correttamente l’hijab e mostrava un po’ dei suoi capelli, questo è quello che è accaduto.
Quella è stata la scintilla della rivoluzione in Iran che è in corso da quattro mesi ormai: quindi siamo scesi in piazza e abbiamo iniziato a protestare, tagliandoci i capelli. Certo per una donna è un dispiacere tagliarsi i capelli, ma hanno iniziato a farlo e hanno iniziato a postarlo sui social media in Iran, e questo è davvero molto significativo nella nostra cultura. Questa pratica è descritta già nello Shāh-Nāmeh, l’antico poema epico del poeta Firdusi, ed era usata dalle donne come segno di dolore, di rabbia e di lotta. Le donne si tagliano i capelli quando sono pronte ad andare in guerra. E tutt’oggi nelle regioni curde dell’Iran le donne prestano ancora i loro giuramenti più sacri sulle trecce delle loro madri. Penso che questo gesto del tagliarci i capelli voglia dire che stiamo andando in guerra e ci stiamo preparando a dare battaglia. E che non ci fermeremo finché non cambieranno le cose.

C’è silenzio ora nell’aula, un silenzio che sembra lunghissimo, ma che in realtà dura solo pochi secondi, giusto il tempo che serve a Jasmine per far partire un secondo video, dopo quello in ricordo di Mahsa Amini.

Il video inizia con una canzone leggera, allegra, spensierata, una delle tante canzoni che ascoltano i giovani di tutto il mondo, e ascoltandola si sentono vivi, felici, con tutta la vita davanti e il destino nelle loro mani. È la canzone che ha scelto la ragazza che appare in video: giovane, sulla soglia tra l’età adulta e quella bambina; bella, di una bellezza illuminata dalla sua vitalità, dalla gioia che trasmettono i suoi occhi, dal suo sorriso. È un video di protesta e di denuncia, che ha il passo accorato della sensibilizzazione e dell’amore, più che quello della rabbia. Appaiono domande, frasi che potrebbero essere sottoscritte da ogni giovane del mondo:

“Quali sono i bisogni di un sedicenne? Dare amore, ricevere amore, essere amato e amare. Abbiamo bisogno di gioia e di svago. Di buone vibrazioni, di energia positiva. Per avere tutto questo, abbiamo bisogno di libertà”.

Il video continua con lo stesso tono pacato e allegro, ma fermo, denunciando le ingiustizie e le discriminazioni, che diventano vere e proprie violazioni dei diritti minimi, nell’Iran di oggi.

Non capiamo subito il nome di questa ragazza, mentre Jasmine ce ne racconta la storia e la tragica fine. “Non importa”, ci diciamo, “lo recuperiamo dopo in Google”. Beh provateci. Provate ad inserire “ragazza uccisa Iran” in Google. Ne escono tante, troppe. E ovviamente le cose non migliorano se si estende la ricerca a “donne uccise in Iran”: sono 61 (di cui almeno 16 di ragazze sotto i 21 anni), in una lista che inizia ad ottobre e si arresta al 4 dicembre 2022.

Per restare ai giovani, va inoltre detto che alle ragazze si aggiunge il triste numero dei coetanei maschi uccisi nel corso delle proteste iniziate ad ottobre, per un bilancio incompleto – fermo al 18 novembre scorso – che vede almeno 381 vittime, tra cui 57 giovani, e più di 16.000 arrestati.

E tra questi appunto Sarina Esmailzadeh: la ragazza del video, uccisa a manganellate dalla polizia il 22 settembre 2022.

Si chiamava Sarina. Aveva 16 anni. È andata in strada per Mahsa Amini ed è stata uccisa. È stata picchiata a morte. Aveva solo 16 anni. Stava parlando di vita e di libertà e aveva la vostra stessa età. Come Nika [n.d.r.: la diciassettenne Nika Shakarami, uccisa il 20 settembre durante le proteste contro il regime a Teheran]. Hanno ucciso tante persone in questi ultimi quattro mesi. “Donne, vita, libertà”: ecco cosa dicevano queste persone. È lo slogan di questa rivoluzione. Quello che chiediamo è racchiuso in queste tre semplici parole. Chiediamo che le donne abbiano la loro libertà. Chiediamo di poter vivere la nostra vita. Chiediamo la libertà di avere davvero i diritti umani fondamentali, i più fondamentali. Vogliamo avere il diritto di scegliere ciò che vogliamo indossare, qualunque cosa, comunque vogliamo agire. Per vivere liberamente.

Jasmine conclude così il suo intervento con un appello ai ragazzi presenti:

So che vi ho già dato molte brutte notizie, e mi dispiace tanto di avervi messo tutta questa pressione, ma dobbiamo parlarne.
La repressione non è finita e in questo giorni sono stati giustiziati molti poveri ragazzi solo perché erano scesi in strada a protestare.
E noi dobbiamo fare qualcosa, possiamo fare qualcosa. Credo che i nostri telefonini siano le nostre armi, e come potete vedere, se state sentendo parlare di quello che sta succedendo in Iran è perché questo è diventato virale. Anche se il governo ha chiuso Internet una settimana dopo la protesta: la gente in Iran sta usando VPN per connettersi al mondo e sta chiedendo agli iraniani all’estero di essere la loro voce e di parlare della situazione in Iran. So che voi non vivete lì, e potreste trarne la conclusione che quindi la cosa non dovrebbe interessarvi. Ma la domanda che mi viene da farvi è: cosa succede se invece lo fate? Cosa succederebbe se ognuno di voi tornasse a casa dopo la scuola e postasse semplicemente una storia sui social su quello che sta succedendo in Iran? Se credete nei diritti delle donne, se credete nei diritti di libertà nell’orientamento sessuale, se anche solo amate i cani – il cui possesso è già criminalizzato in Iran – allora dovreste partecipare a una di queste proteste. Potete davvero fare la differenza.